sabato 29 agosto 2020

IL VIRUS DELLO SCIACALLAGGIO

In queste ultime settimane mi è capitato di sentire di tutto un po’, specialmente cose che non avrei mai voluto leggere. Non dopo gli strali di marzo, i cori sui balconi, gli slogan tipo “andrà tutto bene” o “ne usciremo più forti”, non dopo aver sentito chiamare “Eroi”
medici e infermieri, non dopo l’orrore vissuto a pochi chilometri da casa, non dopo aver passato giorni di paura, dopo aver visto mio padre soffrire, dopo aver passato una notte convinto di non arrivare a rivedere l’alba…
Ora mi trovo a dover leggere cose agghiaccianti, frasi, spesso sgrammaticate, che spiegano dall’alto di conoscenze enciclopediche, come tutta la situazione che si è creata nell’intero Pianeta sia una macchinazione di qualche ente superiore per bloccare il mondo e intrappolare i suoi abitanti per non si sa quale motivo.
Ora, a parte l’assurdità di uscite simili, ma la cosa ancora più imbarazzante è che a volte a rilanciare tali idee folli sono persone che vivono nella mia Bergamo, gente che ha sentito per settimane le sirene delle ambulanze suonare h24, gente che ha visto i camion militari portare via i morti, gente che ha letto per giorni 13 pagine di necrologi (a fronte delle 3 o 4 normali), persone che hanno vissuto senza aver accesso agli ospedali perché fonti di contagio, uomini e donne che hanno pianto nonni o genitori morti con un tubo in gola o “affogati” nel proprio letto o sterminati come mosche nelle case di riposo.
Ebbene, questo non lo posso accettare: se arrivo a capire che chi ha vissuto a centinaia di chilometri dalle zone più infette possa non avere la stessa percezione dell’enormità di quanto accaduto, non posso sopportare  che chi l’ha vissuto sulla propria pelle, convinto da insane idee di chissà quali complotti o sobillato da seminatori di menzogne per menti deboli, riesca a rinnegare il proprio stesso vissuto.
L’incredibile l’ho letto in un post scovato su un social che parla di una enorme messa in scena, nella quale i sedicenti parenti delle vittime non erano altro che attori messi li per reggere la “commedia”, in una Bergamo trasformata in un enorme set cinematografico.
Ora, a parte l’incredibile e assurdo pensiero che si chiude dicendo che il CoVid non esiste ed è solo la scusa per distrarci mentre arrivano i clandestini infetti che ci infetteranno tutti (!!!), chi conosce un po’ Bergamo e la sua gente non può che mettersi a ridere di fronte a pensieri simili (ecco perché è assurdo che un bergamasco possa seguire determinati pensieri malati).
I bergamaschi sono un popolo di gente schiva, chiusa, timida, più a suo agio nella laboriosità intensa che nelle manifestazioni di gioia o dolore. I sentimenti, quelli che aprono il cuore, quelli che rendono nudi di fronte agli altri, sono manifestazioni molto intime, da non mostrare se non nel chiuso dei propri affetti.
Raramente si potranno vedere bergamaschi fare sceneggiate da lacrime e capelli strappati: più facile vederli con gli occhi lucidi e qualche singhiozzo rivestito di un pudore dolce e infantile.
Quante interviste ci sono state negli scorsi mesi tra Bergamo, Alzano e Nembro? Quanta gente avete visto piangere a scena aperta? Addirittura, quante persone si sono concesse alle telecamere? Molto poche, perché i bergamaschi sono così, e il dialetto, la “lingua madre” del popolo orobico, è li a testimoniarlo, visto che, ad esempio, non esiste una traduzione effettiva per l’espressione “Ti Amo”…al massimo da queste parti esiste il “Ta öle bé”, ti voglio bene, detto spesso a testa bassa, con tutto il pudore necessario.
Allo stesso modo, visto che ho sentito parlare di attori ben preparati nel piangere davanti alle telecamere, si sappia che in dialetto non esiste nemmeno un termine per la parola “Piangere”: a volte si dice impropriamente “Piàns”, ma è più corretto tradurlo con “Lücià”, o “Löcià”, che evoca i “Lucciconi”, quelle lacrime che tentano di uscire dagli occhi quando si vuole trattenere il pianto.
Questo è il pianto dei bergamaschi: un magone violento ben disciplinato dalla volontà di ferro di un popolo cresciuto nella durezza della vita sui monti e del crudo lavoro della terra, abituato a voltare pagina con pudore e umiltà.
Bergamo ha avuto 6000 morti solo nel mese di marzo, compresi 40 sacerdoti, 163 medici e 40 infermieri, persone che hanno contratto il virus per non aver voluto lasciare il proprio posto nella battaglia in difesa delle persone. Giusto per capire l’entità di tale orrore, in un mese di contagio Bergamo ha avuto 10 volte le vittime dei terremoti de L’Aquila e di Amatrice messi insieme, e come è un’oscenità mancare di rispetto a quelle vittime non vedo perché qualcuno possa uccidere una seconda volta i nostri genitori, nonni, amici, colleghi, in nome di un’ideologia malata e sconvolta, a sostegno di seminatori di bufale, di odio, di ignobili falsità…
Chiunque tenti di minimizzare quanto accaduto, chiunque metta in dubbio anche solo uno di coloro che hanno perso la vita in quelle settimane di terrore, chiunque possa ignorare il dolore di chi ha visto andar via per sempre un proprio caro senza poterlo salutare, senza potergli stare accanto, non può essere definito che con un unico appellativo, un termine che descrive perfettamente chi nutre sé stesso con le carni degli altri, una parola che racconta di chi persegue il proprio insano pensiero calpestando senza problemi il dolore degli altri, un’espressione che parla di meschinità, falsità, disonore: “Sciacallo”!

1 commento:

  1. Hai ragione...c’è gente con poca memoria e con poco senso civico...
    E quando è uno di noi, bergamaschi, la cosa fa veramente piangere

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