Anche quest’anno avrò la possibilità di viverla in prima
persona attraverso le parole, i silenzi, la ambientazioni che solo il teatro sa
regalare: poter raccontare qualcosa riguardo a quei fatti sconcertanti, quel
baratro infinito nel quale l’umanità è stata risucchiata dalle proprie idee
assurde e malate, è sempre qualcosa che richiede una fatica fisica, morale,
spirituale.
Far salire alle labbra parole che descrivono un orrore
indicibile, elementi che qualsiasi spirito umano senziente vorrebbe cancellare
dalla mente perché troppo dolorose, pensieri troppo spaventosi per essere
tradotti in povere parole, ebbene è qualcosa che graffia il cuore, che lacera l’anima,
che straccia le carni.
Le volte che mi è capitato, attraverso due differenti
racconti, di far rivivere quegli eventi orribili, ho avuto la sensazione di
sentire sulla mia pelle il freddo dei lager, nei miei occhi il dolore della
disumanità, nelle mie narici l’odore della morte…potere del teatro…
Eppure…nonostante in questi stessi giorni io stia lavorando
su un testo completamente nuovo da presentare in futuro e che parla di un aspetto
legato a questi eventi, guardandomi attorno, vedendo e ascoltando l’aria che
tira in questo Paese (e in gran parte della vecchia Europa) mi sto chiedendo
come…come posso fare davvero Memoria, come posso far capire che tutto quello
che racconterò, nell’infinita ciclicità del nostro mondo e della nostra storia,
forse non è ancora accaduto, pur potendolo raccontare come storia del passato?
Penso sia piuttosto inutile raccontare di un evento
trascorso se tale episodio non può insegnarci ad affrontare il presente e a
migliorare il futuro: a che serve conoscere la storia del fallimento di
Napoleone nella Campagna di Russia se non per evitare di commettere gli stessi
errori? Eppure, 130 anni dopo…
Il clima attuale mi porta a dire che siamo un po’ tutti
così, incapaci di leggere il presente perché immemori del passato.
Si, il presente parla, parla molto: comunica per parole, immagini,
canzoni, suoni, idee, silenzi, passioni.
E cosa ci dice? Ci parla di un odio che non è nemmeno più strisciante,
ma urlante e violento. Parla di persone classificate per colore, provenienza,
idee, sessualità.
Parla di omosessuali picchiati da vili squadracce violente,
parla di razze ritenute inferiori, parla di un uso sconsiderato di insulti e
minacce che ne generano sempre di più, parla di un odio a prescindere verso gli
esponenti di un credo religioso (se 80 anni fa erano gli ebrei oggi sono i
musulmani), parla di episodi di violenza domestica commentati come normali…
Parla di un popolo sempre più ampio di revisionisti, di
persone che considerano 6 milioni di ebrei morti come una barzelletta diffusa dai
“nemici” (si, ma quali???), che trattano la tortura e la morte di centinaia di
migliaia di zingari, slavi, omosessuali, jenish, comunisti, intellettuali,
prigionieri politici, Pentecostali come una fake-news ante litteram, che
considerano migliaia di corpi utilizzati per sciagurati esperimenti scientifici
come una balla raccontata per infangare quelli che in un delirio
propagandistico vennero definiti “Jugendlager”, campi della gioventù, villaggi
vacanze per svantaggiati…
E poi parla anche attraverso persone che giustificano la
violenza, che fomentano l’odio, che seminano sospetto, che invece di prendersela
con ladri, truffatori e criminali attaccano chi tenta di diffondere rispetto,
umanità, educazione…
Come posso dire che i lager sono stati solo l’ultima,
macabra tappa della repressione nei confronti dei “nemici del popolo”, iniziata
da una propaganda feroce, a dei ragazzi che vivono in un tempo di comunicazione
estrema ed aggressiva?
E com’è possibile raccontare che anche in Italia, in quegli
anni, squadre di picchiatori
prendevano di mira chiunque tentasse di opporsi al
percorso fascista, uscendone sempre impuniti e che la gente “perbene”
classificava come piccoli episodi trascurabili? Come posso dirlo a chi, magari,
considera il pestaggio a un omosessuale come “dovuto”, le botte di un uomo a
una donna come normali segnali di “amore”, la violenza sessuale come “normale”
se la vittima portava una gonna corta?
In generale, come fare a raccontare che in quegli anni, per
prendere e tenere il potere, si bruciavano i libri, si sottovalutava la scuola
se non come arma di aggregazione e propaganda, si espellevano o incarceravano
gli intellettuali? Come posso parlare di questo a un popolo che non legge più,
che porta l’ignoranza a stile di vita, che vede la cultura come un nemico da
cui guardarsi?
Beh, direi che la strada si preannuncia in ripida salita, ma
forse mai come oggi diventa fondamentale fare Memoria, rendere presente, qui e
ora, come solo il teatro sa fare.
Qui e ora, perché non si parla di passato, ma di presente, perché
non si racconta di un trascorso ma di un futuro, perché non si parla di vittime
e carnefici, ma di noi…fortemente di noi, qui e ora.
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